La superfetazione, sinonimo di architettura spontanea posticcia, perde la sua accezione negativa e diviene veicolo di nuovi valori progettuali.
di Nora Santonastaso
Negli antichi centri storici italiani le superfetazioni arricchiscono le facciate degli edifici, delineando un paesaggio urbano immediatamente riconoscibile. © Théo Roland / Unsplash
In architettura superfetazione identifica un volume estraneo al fabbricato originario, aggiunto come elemento posticcio in una fase successiva, spesso per dare risposta a un’esigenza funzionale per la quale non è stato possibile trovare altro spazio.
Si tratta insomma di una sorta di evoluzione spontanea dell’edificio, non controllata sul piano progettuale né prevedibile al momento della costruzione. Le aggiunte, se ripercorriamo una sorta di storia dell’architettura alternativa rispetto a quella ufficiale, meno fastosa e più vicina al racconto dell’uso reale degli spazi da parte delle persone, concretizzavano molto spesso un bisogno specifico: l’aggiunta di un servizio igienico, di un piccolo ripostiglio o di un angolo cottura.
Nei piani di recupero e valorizzazione del patrimonio edilizio delle nostre città le superfetazioni, quando non coerenti con il disegno complessivo delle facciate, vengono il più delle volte eliminate, ripristinando lo stato di progetto e ricomponendo una perfezione che, forse, può dimostrarsi poco rispettosa di alcune fasi della storia dell’edificio.
Le funzioni prima ospitate all’interno dei volumi posticci vengono ricollocate, quando possibile, all’interno dell’edificio, operando ristrutturazioni interne e generando un processo di revisione della sua struttura interna non coerente, a sua volta, con l’impianto originario. Una parte della storia – la superfetazione – si cancella, ma finisce per condizionare la scrittura dei capitoli successivi del progetto.
Ma non tutto e non sempre va in questa direzione. Esistono delle eccezioni, che possono creare l’occasione per un ripensamento e una presa di coscienza di diverse possibilità di valorizzazione.
Il Las Palmas Parasite, prototipo abitativo parassita realizzato al di sopra della struttura di un vecchio magazzino a Rotterdam. © Anne Bousema
Negli ultimi anni, mentre nei centri storici le superfetazioni vengono demolite e dimenticate, almeno per quanto possibile, accade qualcosa di inaspettato: l’elemento posticcio, applicato al volume di una preesistenza, diventa esso stesso architettura e supera la barriera del temporaneo, ponendosi come definitivo e strutturato.
La superfetazione, insomma, diventa architettura riconoscibile e carica di nuovi valori e, dovendo affermare con prepotenza la propria autonomia, si fa colorata, innovativa, pienamente individuabile.
Una delle superfetazioni architettoniche più conosciute, capace di sbucare fuori facilmente da una rapida ricerca su web, deve la sua iconicità al brillante colore verde che la caratterizza. È il Las Palmas Parasite a Rotterdam, un prototipo abitativo realizzato come elemento posticcio – parassita, appunto – al di sopra della struttura di un vecchio magazzino.
Dell’edificio originario riutilizza le tubazioni e gli scarichi, appropriandosene e proponendo un nuovo modo di concepire il progetto: lo sfruttamento parassitario di ciò che già esiste e che può essere fatto rivivere non attraverso una trasformazione interna, ma con un’applicazione esterna dettata da un bisogno specifico.
Nel recupero come auditorium dell’antico Convento di San Francesco a Santpedor, in Spagna, le nuove strutture aggiunte sono ben individuabili rispetto all’edificio originario. © Jordi Surroca
Oltre al colore, c’è un altro potente strumento progettuale che consente di rendere pienamente riconoscibile la superfetazione rispetto al volume originario dell’edificio. Guardando la facciata dell’antico Convento di San Francesco a Santpedor, in Catalogna, appare chiaro come i materiali e la struttura del volume vetrato addossato alle mura in pietra appartenga a un’epoca diversa.
Oggi l’evidenza è fortissima e rimarrà tale anche nei decenni a venire, consentendo la possibilità di leggere la storia dell’edificio e della sua evoluzione in modo semplice e intuitivo e rispettando l’apporto progettuale di ciascuna epoca. Quello attuale, che recupera l’uso della preesistenza ad auditorium, si deve alla matita di David Closes i Núñez, giovane architetto spagnolo.
Casa Lude a Cehegín: la nuova struttura si eleva al di sopra dell'abitazione esistente ma non al di fuori del paesaggio frastagliato dei tetti della città. © Jesús Granada
Sempre in Spagna, a Cehegìn, lo studio Grupo Aranea progetta un inserto residenziale sfruttando un tassello preesistente nel volume di un vecchio edificio in muratura. La nuova abitazione, delineata da una scocca grigia liscia e uniforme, aperta all’esterno solo nel suo cuore più nascosto, si presenta come un nucleo autonomo rispetto all’organismo che la ospita. Le due architetture condividono l’aria, la luce e il racconto di nuove storie di casa e famiglia.