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Il cuore punk di un’archistar

17 maggio 2022

Il MACRO di via Nizza a Roma rappresenta la possibilità di legare un edificio di archeologia industriale con la città e i suoi percorsi multiformi e dinamici.

 

di Nora Santonastaso

 


Riutilizzo di un edificio di archeologia industriale attraverso la rifunzionalizzazione e l’ampliamento. © Nora Santonastaso / design outfit


Il 2010, a Roma, è stato l’anno dell’inaugurazione di due grandi architetture: il MAXXI di Zaha Hadid in via Guido Reni, a due passi dall’Auditorium di Piano, e il MACRO di Odile Decq in via Nizza. La modernità si affaccia nella Città Eterna attraverso edifici che, invece che starsene lì, chiusi nel loro involucro finito, si estendono nello spazio tutto intorno e si dimostrano capaci di riqualificare aree inutilizzate, convertendole in luoghi da attraversare e ambiti in cui sostare.

 

Quello del MACRO, in particolare, si configura come progetto di ricucitura del vecchio stabilimento Peroni con lo spazio urbano: un’occasione di recupero, ampliamento e aggiornamento della preesistenza, attraverso l’inserimento di volumi e superfici fortemente riconoscibili, sia sul piano materico che cromatico.

 

Se avete avuto occasione di visitare il Museo, sono certa che, ben impresso nella vostra memoria, c’è il rosso pieno e concreto del volume dell’auditorium, accessibile dal foyer e al piano superiore, come una sorta di terrazza con vista sulla nuova articolazione interna dello spazio espositivo e delle sue pertinenze.

 

Questo snodo fortemente caratterizzato distribuisce da una parte i collegamenti con il vecchio stabilimento, che fin dal 1999 ospita la Galleria Comunale d'Arte Moderna e Contemporanea, e dall’altra il nuovo edificio, concepito come un vero e proprio ampliamento della superficie espositiva.

 

La lettura del progetto di Odile Decq è complessa e non lineare, perché l’intervento mira a legare spazi molto diversi tra loro: esula dall’interno e, attraverso una serie di percorsi variamente articolati, esce all’aperto, nella città. 

 


Odile Decq. © Columbia GSAPP / Flickr


A leggere la parola archistar è la Decq la prima architetta internazionale a venirmi in mente. Il collegamento immediato, senza filtri, è senz’altro dovuto al suo outfit assolutamente riconoscibile, che alcuni, negli anni, hanno accostato ad attori e a cantanti rock e punk: Sean Penn e Robert Smith dei Cure, tra gli altri.

 

La massa di capelli neri corvini di Odile, perennemente spettinata ad arte, sembra indissolubilmente legata anche a un fare architettura che implica il movimento e la contaminazione.

 

So che, nel corso di un’intervista, alla domanda Qual è il progetto a cui è più affezionata?, l’architetta francese ha risposto Il prossimo! e questo è senz’altro indice di un percorso professionale e di ricerca ben preciso e proiettato verso il futuro e verso nuove occasioni di stimolo creativo. 

 


Accesso alla copertura dell’auditorium al primo livello, punto panoramico di sosta ed esposizione. © Nora Santonastaso / design outfit


Il progetto del nuovo MACRO nasce a seguito di un concorso internazionale di progettazione bandito nel 2000 dal Comune di Roma.

 

Obiettivo dell’Amministrazione, ridefinire volumi e funzionalità dell’intero complesso, attestato su via Nizza (dove attualmente è collocato l’accesso principale), via Reggio Emilia (dove è attestato un ingresso secondario, che attraversa la corte della Galleria preesistente) e via Cagliari e comprendente un nucleo già edificato su progetto di Gustavo Giovannoni all’inizio del ‘900.

 

La Decq assume l’incarico per la progettazione dell’ampliamento e della riorganizzazione nel 2001 e il Museo riapre al pubblico solo 9 anni più tardi.

 

Pietra, acciaio inox, vetro, nero e rosso sono gli ingredienti principali del progetto, insieme a una grande attenzione per l’articolazione dei percorsi, che distribuiscono gli spazi funzionali ai vari livelli, compresi i 3 sotterranei del parcheggio e la terrazza al piano copertura.

 

Esternamente, visto dalla città, l’intervento della Decq è percepibile come un parallelepipedo semi-trasparente piuttosto rigoroso, innestato nelle preesistenze. È all’interno che viene rivelata la sorpresa del nuovo, pensato come sapiente insieme di sfaccettature, articolazioni, salti di quota, cesure, raccordi.

 

La comprensione dell’insieme, se possibile, è consentita solo al visitatore. Consiglio una visita, se siete a Roma. Il Museo è aperto dal martedì al venerdì dalle 12 alle 19 e nel weekend dalle 10 alle 19. L’ingresso è gratuito.

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